venerdì 6 luglio 2012

8. Il calcio d'estate


22 agosto 1984: Spal-Inter 0-3

Un tizio che giocava con me nel mio campionato di nessuna categoria aveva l’abitudine, tutte le estati, di passare dal calcio al basket. Ci si trovava al campetto per la solita partitella e io gli chiedevo, non vieni a giocare? Ma lui sorrideva con l’aria di chi la sa lunga e diceva che la stagione del calcio era finita, e cominciava quella del basket. Vieni tu a giocare a basket, mi diceva. Tanto vale che provi a saltare nel cerchio di fuoco, mi dicevo io, e continuavo a dribblare infornate sempre nuove di incapaci estivi.

(Non so nemmeno come si corre, nel basket. Qualsiasi cosa tenti di fare, sbaglio. È come se madre natura mi avesse strutturato per produrre falli e infrazioni cestistiche.)

Ora, io non so che senso abbia dire che l’estate è la stagione del basket e non la stagione del calcio, ma non so resistere alle affermazioni categoriche apparentemente prive di senso – anzi, tanto più sono insensate tanto meno sono capace di resistere. Ragion per cui, anche se allora mi dava fastidio perdere giocatori a favore del basket, oggi mi trovo a dire, alla Paola che mi chiede se vado a giocare al campetto con i miei amici cinquantenni e i miei amici immigrati (a quanto pare, non si dà un cinquantenne immigrato):

“No, la stagione del calcio è finita. È iniziata la stagione della bicicletta.”

Dopodiché contemplo per un quarto d’ora la possibilità di inforcare la mountain bike lilla comprata dal mio fratello minore anni fa, e poi da me ereditata come tutte le cose kitsch comprate dal mio fratello minore, e questa contemplazione già mi tonifica i muscoli. Una volta tonificato, con l’appetito stimolato da una remota possibilità di movimento, chiedo cosa si fa per cena. E se la Paola si stupisce e mi dice, non dovevi andare in bicicletta? Anche lì ho la risposta pronta:

“Eh, ma da questa parte della città le colline sono lontanissime. Io in pianura mi annoio, e poi finisce che arrivo ai piedi della Rocca delle Caminate già spompato e mi tocca tornare indietro.”

A questo punto, ulteriormente tonificato dall’idea platonica della Rocca delle Caminate, occupo il tempo che mi separa dalla cena nell’unico modo possibile, per un uomo che ha finito il lavoro quotidiano e che non si trova più nella stagione del calcio. Ovvero accendo il televideo, oppure vado in qualche sito internet di quelli che appena si avvicina qualcuno ti sposti sul pdf delle bozze corrette e consegnate da anni, e cerco le notizie importanti. Le notizie che decideranno della mia sorte e del mio umore per tutto l’autunno, l’inverno e la primavera successivi. L’ottanta per cento degli uomini ha già capito. Il calciomercato.

Il calciomercato è una cosa molto difficile da spiegare alle donne, o agli uomini che non si interessano di calcio (io ho diversi amici musicisti, e i musicisti si fanno un punto d’onore di disprezzare il calcio: ma come, vuoi mettere la complessità di una sonata di Mozart con un dribbling di Maradona? La classe di David Byrne con la classe di Platini? Tu rispondi no, in effetti, e intanto pensi che Maradona è grasso e fa l’allenatore in qualche deserto asiatico, Platini è grasso e fa il presidente di un ridicolo organismo internazionale, e Kolarov a sinistra sarebbe perfetto, e a destra ci possiamo mettere Nagatomo o Jonathan). Le donne, in particolare, anche quelle disposte a concederti (malvolentieri) un qualche interessamento per ventidue cretini in braghe corte che inseguono una palla, non riescono a capire come tu possa perdere tempo a seguire quelli che ne parlano. Le interviste. Le discussioni tattiche. Le polemiche televisive. Il calciomercato. Il calciomercato, Santo Dio.

Ci sono due risposte possibili – ma che non do mai, per evitare di palesare la mia idiozia – a tutte le obiezioni sul calciomercato, e più in generale sul calcio non giocato. La prima, quella generale, è che il calcio giocato, il calcio visto, è quasi sempre pallosissimo, molto peggio di quello scritto o parlato. Novanta minuti sono tantissimi, e a differenza di quanto succede nel basket, in molti di quei minuti non dico che non si segna, ma non ci si avvicina nemmeno alla porta, e bisogna cercare di esaltarsi per un triangolo nella trequarti difensiva. La noia già costitutiva dello sport, causata dall’aver costretto venti persone a usare tutto tranne le mani per spingere una palla in porta in un campo lunghissimo, è peggiorata ulteriormente dagli anni Novanta in poi, con Sacchi e il dannatissimo pressing che trasforma nove partite su dieci in allegre tonnare a centrocampo. “Perfetta diagonale difensiva di Scaramuzzolo”, si esaltano i telecronisti sollecitando i nostri vaffanculo. E la situazione è ulteriormente peggiorata con il maledetto Barcellona e la maledettissima Spagna, che impiegano il novantanove per cento delle loro energie a non far toccare palla agli altri. Ma perché, dico io? Allora non venire neanche a giocare. Allora non stupirti, se seguo le partite al televideo.

(Per carità, immagino che i tifosi del Milan di Sacchi si divertissero, e che si divertano anche i tifosi del Barcellona e della Spagna. Ma si divertono solo loro, e il primo che dice che il calcio è uno spettacolo ed è sempre un piacere vedere del bel gioco gli entro sul ginocchio destro a piedi uniti.)

La seconda ragione, quella che riguarda specificamente il calciomercato, è che sono interista. Come ho già detto in qualche altra puntata, dai miei diciotto ai miei trentaquattro anni l’Inter ha vinto due coppe Uefa, due coppe Italia e uno scudetto a tavolino. Il Milan e la Juve (le altre non contano) non voglio nemmeno mettermi a elencare quello che han tirato su. Ma se c’è una stagione dell’anno in cui la mia squadra non ha mai temuto nessuno, quella è l’estate. Il calciomercato. L’Inter l’ha sempre stravinto, il calciomercato.

Quasi ogni anno, dal 1990 al 2006, l’Inter prendeva un grandissimo giocatore che di sicuro poi ci avrebbe fatto vincere il campionato da solo. Certe annate, con Moratti, l’Inter prendeva cinque grandissimi giocatori che poi ci avrebbero fatto vincere cinque campionati da soli. Figo. Vieri. Roberto Carlos. Djorkaeff. Baggio. Klinsmann. Matthäus. Berti. Rummenigge, di cui ho messo nel titolo l’esordio italiano con gol, in Coppa Italia. E sopra tutti Ronaldo, che nel 1997-98 era l’unico che poteva vincere davvero da solo (e lo faceva, se guardate il resto della formazione del 1997-98) e al cui solo pensiero mi si inumidiscono gli occhi (lo dirò con pacata oggettività: quello scudetto, quello e nessun altro, era nostro, maledetti, possa quel pesce antropomorfo marcire all’inferno. Dai, squalificatemi per cinque giornate).

Grandi, grandissime annate di calciomercato. Enormi titoli della gazzetta. Grandi soddisfazioni, mai offuscate più di tanto dal fatto che poi la maggior parte di questi grandi acquisti si rivelassero vecchi, rotti o imbolsiti, o semplicemente incapaci di giocare a calcio in una squadra fatta di dieci grandi attaccanti, mezzo centrocampista e tre difensori coi piedi di marmo. Gli interisti amano il calciomercato, e non si sono mai lasciati distrarre dal fatto che le Inter più forti in assoluto sono state fatte con acquisti oscuri, ragazzi del vivaio e uno, due grandi acquisti al massimo: Suarez comprato a peso d’oro per farlo giocare con Mazzola e Facchetti. Maicon, Cambiasso e Zanetti che non li conosceva nessuno. Niente, se chiedete anche oggi a un qualsiasi interista chi vorrebbe vedere nell’Inter dell’anno prossimo, vi risponderà (o vorrebbe rispondervi, in fondo al cuore) Messi, Robben e Van Persie. Centocinquanta milioni di euro di roba, per intenderci con quelli che disprezzano il calcio e sono rimasti a Platini e Maradona.

Ma oggi, all’inizio di luglio del 2012, l’interista non ha più nemmeno di queste soddisfazioni. Per motivi che non starò a spiegare, perché quelli che li sanno li sanno, e quelli che non li sanno si annoierebbero a morte, l’Inter non può spendere se non dopo aver incassato, e non può ingaggiare calciatori con stipendi troppo alti. Per cui la coppa calciomercato la vince la Juve (anche quella? Volete anche toglierci le libertà civili, già che ci siete?), e il tifoso dell’Inter deve accontentarsi di aver riscattato Guarin o di aver mandato Caldirola in prestito alla Cremonese per farsi le ossa. E se provate a dirgli che è meglio così, che adesso Moratti e soci potendo spendere meno dovranno spendere meglio, farà di sì con la testa prima di andarsi a rivedere su youtube la presentazione di Pancev (“Voi fischiare, fischiare... io intanto guidare Ferrari”, disse un po’ di tempo dopo: e non venitemi a dire che è stato un acquisto inutile).

A dire il vero c’è sempre stata un’altra occupazione calcistica estiva, per l’interista come per il romanista e il laziale e il torinista e il genoano e il sampdoriano: la nazionale, un anno sì e uno no. Perché almeno, con la nazionale, non si correva il rischio di venir presi per il culo da nessuno. Con la nazionale si soffriva e si andava in piazza tutti insieme (dopo le finali vinte, per favore: in qualsiasi altra occasione è di cattivo gusto e mena iazza, lasciatevelo dire da un interista), e le delusioni erano condivise con un unico grande paese desolato e silenzioso, come dopo la finale degli Europei del 2000.

E invece no, per me non funziona neanche più la nazionale. Perché purtroppo c’è l’Unione Europea, come avrebbe detto un ex presidente del consiglio, e nel mio palazzo è venuta a stare una coppia di spagnoli. E lui, un omone alto alto e grosso grosso, l’altro giorno mentre prendevo la macchina in garage mi ha salutato con quattro dita, come Totti dopo un Roma-Juve. Ridendo, come se fosse una cosa simpatica. E io volevo dirgli, Ah, eri in campo anche tu? Non ti ho mica visto. Oppure, Guarda che mi hai scambiato per qualcun altro, mi hai scambiato per uno sportivo. O ancora, Eh, cosa? No, guarda, io lo sport non lo seguo. O avrei potuto fingere di non sapere l’italiano – il che, visto che con il vicino spagnolo ci siamo parlati diverse volte, sarebbe equivalso a spacciarmi per un sosia di me stesso. E invece ho borbottato qualcosa di quasi incomprensibile a chi non fosse dentro alla mia testa, e lui, visto che non condividevo il suo divertimento, c’è quasi rimasto male.

Bisogna proprio che tiri fuori la bicicletta di mio fratello. E già che ci sono, passo dal retro e tiro giù la bandiera spagnola del mio vicino.

Ci risentiamo a settembre. Cosa si fa per cena?