lunedì 6 ottobre 2014

18. Tutto previsto: intervista a Mazzarri

5 ottobre 2014: Fiorentina-Inter 3-0

La morte è come una partita dell’Inter” incontra Mazzarri la mattina dopo la sconfitta con la Fiorentina, in un bar vicino a casa dell’allenatore. Mazzarri entra nel bar cinque minuti dopo di noi, con un completo color terza maglia dell’Inter e la mano ingessata infilata in una delle falde della giacca. Ha l’aria preoccupata, e quando il barista sbatte con forza il dosatore del caffè per svuotarlo si abbassa di colpo e strabuzza gli occhi. Poi si ricompone, e a un nostro gesto ci si siede a fianco, ma lasciando uno sgabello vuoto in mezzo. Ordina cinque caffè macchiati, per un motivo subito evidente: gli tremano tanto le mani che i primi quattro gli si rovesciano. Del quinto, finalmente, riesce a bere la metà, per rovesciarsi poi la seconda metà all’interno della giacca. Non sembra però prenderne nota.

Signor Mazzarri, si è versato addosso il caffè.
Questo lo dice lei. È facile dire “si è versato addosso il caffè” – bisogna vedere bene, bisogna studiarle, le cose. Ora io voglio tornare a casa e rivedermi l’azione per bene, poi magari ne parliamo con calma. Io non vengo certo qui a lamentarmi dei caffè, io dei caffè non mi sono mai lamentato, è una mia politica personale, però è un fatto che sono due anni che vengo qui e mi è sempre finito del caffè dentro la giacca, sulla cravatta, nella tasca dei pantaloni. Lei mi sa dire il motivo? Perché certi giornalisti fanno di tutta l’erba un fascio, poi è facile fare i discorsi, io invece faccio i fatti, non parlo le parole.

Ecco: a proposito di fatti, la sua Inter in queste prime sei partite ha fatto due vittorie, due sconfitte e due pareggi.
Esatto. Lo vede che organizzazione? E le sembra una cosa semplice?

In che senso, scusi?
Ma come, in che senso? Ma lo vede che non v’informate, ma in Italia del resto è così, la gente viene a fare le domande e poi non è informata, mi fa altri cinque caffè macchiati, per favore? Ma mi scusi, è così semplice: è come se io vengo qui al bar e prendo cinque caffè macchiati, cinque caffè macchiati e cinque caffè macchiati. Due vittorie, due pareggi e due sconfitte. Le sembra casuale?

Oddio, credevo di sì. Ma in effetti, se mi dice che le ultime due sconfitte erano programmate si spiegano tante cose.
Ma mi scusi, vede però che così non va bene, se il vostro lavoro devo farlo io? Ma mi scusi, per esempio, le sembra che dei difensori di serie A possano andare la metà degli attaccanti del Cagliari? Le sembra che un nazionale giapponese possa sbagliare passaggi di pochi metri per poi andare ad abbattere gli avversari così, senza un programma preciso, uno schema studiato in allenamento? A parte che anche l’espulsione magari era programmata come forma di turnover, ma io non è che ora vengo qui a dirlo a voi. Ecco, vede? Ora il caffè mi è andato a finire sulle scarpe. Ma le pare casuale, anche questo, scusi? Secondo me bisognerebbe andare a rivedere l’azione nel momento in cui il barista posa il caffè sul bancone, ma tanto qui in Italia si giudica tutto dai risultati, la programmazione non conta nulla e i caffè te li servono sempre uno alla volta.

Certo però che come l’anno scorso, dopo la larga vittoria sul Sassuolo che ha illuso tutti, le cose non sono andate come i tifosi speravano.
Ma no, vede, questo lo dice lei, io sono abituato a giudicare guardando i fatti, e in tutti i posti in cui sono andato ho fatto bene, questo lo dicono i fatti, non lo dico mica io. Quando ero alla Reggina, per esempio, abbiamo cominciato a handicap, poi ho fatto cambiare il barista e due camerieri e il campionato è andato benissimo. E poi alla Sampdoria, avevo messo Cassano dietro il bancone perché mi faceva quindici caffè che guardi, non ha mica idea, ma io del resto questi ragazzi li vedo tutte le settimane in allenamento, vedo che in partitella mi fanno bene, ce la mettono tutta anche con la maglietta macchiata qui sotto al bavero, si impegnano sia sui cappuccini sia sui latti macchiati, cosa vuole che mi importi se poi in partita mi prendono due o tre gol? Bisognerebbe informarsi, prima di parlare!

Oddio, più tre gol che due. E nella penultima partita anche quattro.
Ma per l’appunto, vede che si dovrebbe guardare tutto? Noi dall’inizio dell’anno, ci siamo parlati e ci siamo detti che quest’anno dovevamo essere equilibrati, stare attenti a tutto, anche ai particolari, e per esempio, più che i punti, abbiamo deciso che volevamo avere una differenza reti perfetta, precisa, che non fosse troppo sbilanciato. Perché si è detto l’anno scorso che quei sette gol al Sassuolo, per esempio, avevano cambiato tutte le idee sulla squadra, all’improvviso sembrava che fossimo dei fenomeni, poi va a finire che i laterali si sganciano troppo perché vogliono andare a far gol e che Juan Jesus crede di poter fare il paso doble, e allora abbiamo pensato di riequilibrare quel +7 nelle ultime due partite. Ma scusi, le pare che io metto due pennelloni come Ranocchia e Vidic insieme al centro della difesa, sennò? E adesso ci stiamo molto attenti alla differenza reti, che per esempio adesso è 11 fatti e 8 subiti.

E quindi?
Ma come, e quindi? Barista, altri cinque macchiati, per favore. Ma scusi [Mazzarri tira fuori fogli a quadretti con sopra numeri e parole scritte in ordine apparentemente casuale] intanto 11 è il numero dei giocatori che scendono in campo, no? Poi 8 è la media degli scudetti di Genoa e Pro Vercelli, che sono le due squadre che avevano vinto più campionati prima della Grande Guerra. Capisce che è tutto calcolato per bene, se solo uno avesse voglia di guardare ai fatti? E soprattutto c’è la differenza reti, no? Tre è il numero perfetto, è il numero dei punti per una vittoria, è il numero della Trinità, è un numero mistico, è il numero dei Trettré che mi piacevano tanto quand’ero ragazzino, è il numero dei Beatles togliendo quello che suonava il tamburo, e soprattutto è il numero dei gol che abbiamo preso ieri sera a Firenze. Ma queste cose le so io che vedo i miei figli tutti i giorni mentre fanno il compito, e il mio piccolo ha strappato un foglio dal quaderno di matematica e ha fatto questi conti per me, ma voi giornalisti le cose non le sapete, non vi preparate, guardate solo i compiti in classe e state lì a sottolineare che magari il mio grande ha preso cinque e mezzo in latino, l’ultima volta, voi parlate le parole e scrivete le scritte, non come me che faccio i fatti e conto le conte.

Mi perdoni, mi sono un po’ perso.
Vede, quando si sta creando un nuovo progetto, quando si è all’inizio di un ciclo, bisogna guardare tutto nei minimi particolari, non è che se poi non funziona qualcosa o si prendono venti gol in cinque partite, o ti rendi conto che hai ingaggiato un quadrumane poco intelligente per mettergli in mano tutto il gioco della squadra dal centrocampo in su, si mette in discussione tutto. Perché qui noi abbiamo un programma ben preciso che va avanti comunque, e del resto io ho già dichiarato che il mio obiettivo è arrivare nei primi quindici entro il 2035, e su questo siamo perfettamente in linea. Poi se voi parlate di Champions, di scudetto, allora è un altro discorso, bisogna fare un programma intergenerazionale e pensare che magari i benefici del lavoro che facciamo adesso li vedranno i nipotini di Ranocchia, i bisnipoti di Vidic.

Sì, ma...
Lo vede, per esempio, ora il caffè macchiato è andato a finire sulla gamba dei pantaloni, che poi bisognerebbe anche qui andare a vedere come si è preparato il barista in settimana e qual è la sua programmazione, cos’ha fatto in partitella, la preparazione atletica, quante ripetute mi ha fatto col vassoio pieno di cappuccini, perché io li preparo così i miei ragazzi. Però io avevo dichiarato che mi sarebbero finiti addosso tre caffè, che poi van d’accordo coi tre punti, il più tre di differenza reti, i Trettré e i Beatles senza quello che suonava il tamburo, vede che tutto procede secondo i piani? Bisogna informarsi! E fra l’altro, guardi, manco a farlo apposta, questa è la nostra terza maglia, e l’ho messa quest’anno che è il terzo anno che sono qui meno uno. E poi ha visto cos’ha detto coso, Thor, Tir, il bamboccetto coreano, no? Che vuole riportare l’Inter fra le prime dieci squadre d’Europa. E noi questa settimana siamo decimi, e il campionato Italiano è il campionato più bello del mondo, per cui siamo addirittura fra le prime dieci squadre del mondo. Per cui guardi, lasci perdere tutti questi discorsi e vada a cambiarsi che voglio vederla in partitella.

Va bene, grazie. Arrivederci.
Arrivederci.

Mazzarri fa per allungare la mano, ma poi al barista cade il bicchiere. Lui ritira la mano, lancia la tazzina in aria con un urlo e si va a nascondere sotto a un tavolo. Quando usciamo, sta ancora bofonchiando fra sé e sé. Si distinguono le parole “progetto” e “ciclo”.

martedì 8 aprile 2014

17. Non è colpa nostra: è colpa dell’Inter


5 aprile 2014: Inter-Bologna 2-2

Ho passato i quarant’anni e sono ancora pieno di difetti. Sono invidioso, livoroso, nevrotico. Perdo tempo a fare cose di nessuna importanza, sapendo che fra vent’anni me ne pentirò – se le cose di nessuna importanza nel frattempo non mi avranno ammazzato. Butto via il tempo a far passare il tempo, invece di starci dentro. Non mi concentro abbastanza sulle cose belle, giuste e vere. Non ho il coraggio di tentare l’insolito – magari l’anno prossimo, mi dico sempre. Non ho l’umiltà di riconoscere la sensatezza delle vite altrui. Non mi concentro a dovere, e a volte il mio cervello si spegne nei momenti meno opportuni – mentre faccio lezione, nel bel mezzo di una canzone. Non faccio niente per correggere tutti i difetti di cui sopra.

Da oggi, però – anzi, da sabato scorso – ho un alibi perfetto. Non è colpa mia: è colpa dell’Inter. Se l’avessi capito prima, avrei potuto usarlo a scuola, all’università, ai concorsi andati male. Non ho studiato la poesia? È colpa dell’Inter, dopo il girone di ritorno si è piantata e Beccalossi ha smesso di buttarla dentro. Mi hanno bocciato allo scritto di tedesco 3? Che c’entro io – è l’Inter che è finita addirittura in zona retrocessione, quest’anno. È andato male il concorso per fare l’interprete all’Unione Europea, d’accordo – ma dico, l’avete visto il rigore non dato a Ronaldo? È colpa dell’Inter, o della Juve, che è poi la stessa cosa.

L’ho pensato sabato scorso, alle undici di sera, mentre passeggiavo per Comacchio con un ginocchio fiaccato dall’umidità e la pancia piena di pesce di fiume: come fa uno a concentrarsi sulle cose, a distinguere il bene dal male e l’essenziale dal superfluo, quando è occupato, per una buona metà dell’esistenza, a deprimersi per la domenica prima o a preoccuparsi per la domenica dopo?

La Paola sorrideva dall’alto delle sue gambe e dei suoi tacchi, fra i ponti di Comacchio – lei ci aveva provato, a far vincere l’Inter (prima o poi bisognerà che racconti di quando la Paola ci ha fatto vincere la coppa dei campioni, altro che Milito). Sul 2-2 si era messa a fissare il televisore ed era riuscita a far fischiare un rigore per l’Inter. Poi Milito ha preso la palla, si è sentito investito dello spirito del Becca, e ha detto col linguaggio del corpo: la tiro io. Poi Milito, sempre col linguaggio del corpo, ha aggiunto: sono un giocatore talmente importante che non ho neanche bisogno di angolarla o di spiazzare il portiere. Portiere, palla e porta mi devono obbedire. A quel punto, neanche la Paola poteva salvarlo. Non era colpa sua – sua della Paola, ma anche sua di Milito. Era colpa dell’Inter.

È andata così. Come sanno quelli che hanno letto altre puntate di questo blog, io non guardo mai le partite dell’Inter – non le guardavo neanche dal 2006 al 2010, figurarsi. Al massimo le seguo al televideo, ma anche così soffro troppo e intuisco il disdoro (sempre che non si stia sul 4-0 con gli avversari in nove). Lo scorso sabato, poi, festeggiavamo il compleanno della Paola, e io avevo preparato tutto un programma all’insegna della bassa pianura veneta e del pesce palustre. Non sapevo neanche che giocasse, l’Inter. Ero convinto che giocasse lunedì. L’idea era quella di andare a Rovigo, dove c’era una mostra – poi spritz a Rovigo e anguilla a Comacchio. L’idea dell’anguilla era uno di quei desideri da mezza età – nonostante quel che ho detto sopra – di fare cose mai fatte prima. Andare in Botswana, mangiare l’anguilla. In Botswana ci andremo l’anno prossimo, mi sono detto.

E insomma, il programma va bene, anche se certe parti del centro di Rovigo sembrano concepite come forma di contraerea psicologica (“No, non possiamo sprecare una bomba per quella roba”). La piazza però è bella. Lo spritz è mediocre – esiste uno spritz che non sia mediocre? – ma ci ubriaca a buon mercato, e migliora di parecchio il centro di Rovigo. La mostra non è bella ma è “interessante” – il che ci permette di discutere, ubriachi, di come la categoria dell’interessante sia sopravvalutata. L’anguilla è più buona di quanto ci aspettassimo, come continueremo a ripeterci per giorni. Bravo quel danese, come si chiamava. Ammazza, buona l’anguilla. Ma quell’altro delle betulle, cos’era, di Ferrara? Piacenza? L’avresti detto che era così saporita l’anguilla? Eccetera.

Solo che quando arriviamo all’anguilla, la serata ha già preso una brutta piega. Siamo entrati in questo ristorante di Comacchio, che fa bene le cose semplici (a differenza di Rolando, per dire) o sa nascondere bene i suoi difetti (a differenza del povero Cambiasso). Il ristoratore, che è di poche parole ma efficace (a differenza di Guarin), ci ha accompagnati a un tavolo messo da un lato ma gradevole alla vista (a differenza di Nagatomo). Quando gli abbiamo chiesto un abbinamento cibo-vino, ci ha dato i giusti consigli su come muoverci (a differenza di Mazzarri). L’unico problema è che il tavolo che ci ha dato è davanti a un enorme televisore ultrapiatto, che per me grida anche se ha il volume a zero: quando ci sediamo, stanno scendendo in campo undici figuri che conosco bene, e il mio sentimento è lo stesso di sempre: porca di quella vacca, non voglio guardare la partita / non ho intenzione di staccare gli occhi dallo schermo nemmeno per un secondo.

La cronaca è presto fatta. Dopo qualche minuto alzo gli occhi sullo schermo, e l’Inter sta già uno a zero. Bello, penso, anche se non ho visto il gol. Dopo un po’ rialzo lo sguardo, e c’è una palla nell’area dell’Inter. Nel giro di un secondo e mezzo arriva il pareggio del Bologna. Nel secondo tempo, rialzo lo sguardo e scopro che l’Inter ha appena segnato – stavolta faccio in tempo a vedere il replay. Bel gol. Rialzo lo sguardo e vedo una palla buttata in area, due difensori dell’Inter che si guardano attoniti come Stanlio allo specchio, e un attaccante del Bologna che segna in pantofole. A questo punto sono incollato allo schermo per il tempo che resta, e mi guardo il rigore sbagliato e il Bologna che a momenti fa il terzo gol. Non ho forse neanche bisogno di rimarcare che i gol dell’Inter li avverto dopo, come la felicità che riconosci quando è passata, mentre quelli del Bologna li sento arrivare come un vaso che sibila dal davanzale di sopra.

Il resto della serata è uguale a tanti resti di serata di quando ero ragazzino, passati a correggere mentalmente le azioni finite male – ma con una consapevolezza che da ragazzino non avevo. È una cosa che ho capito vedendo il povero Mazzarri ingobbito e grifagno. L’ho guardato bene e non ho pensato “maledetto, neanche tu sei il Messia”, ma “poveraccio, non è colpa sua, è colpa dell’Inter”. Hanno inquadrato Thohir in tribuna e non ho pensato “specie di arancino siciliano con il sorriso mellifluo e l’occhio malvagio, cosa ci sei venuto a fare qua in Europa?” ma “poveraccio, in che guaio si è andato a cacciare”. Il rigore sbagliato di Milito? L’ha sbagliato perché gioca nell’Inter. Lo svenimento di Rolando? Fiacchezze causate dall’Inter. La sensazione generale di fragilità psicologica e alienazione mentale di tutta la squadra? Poveracci, che vuoi farci, è colpa dell’Inter, ne ho viste altre cento di Inter come questa.

E così, amici, se non siamo ancora arrivati ai massimi livelli delle nostre professioni non è colpa nostra, ma è colpa dell’Inter. Se io e te non siamo ancora sulle copertine delle riviste musicali, Giacomo Toni, non è perché la nostra musica non vale abbastanza o i giornalisti non la capiscono – è colpa dell’Inter. E se là fuori ci sono degli interisti adulti che non hanno ancora messo su famiglia e non hanno nessuno con cui stare, non è per via dell’igiene imperfetta o dello sguardo da psicopatici – è perché tengono alla squadra sbagliata. E del resto anche i giocatori, gli allenatori, i presidenti non hanno colpe: sono anche loro vittime dell’Inter. Altrove hanno fatto benissimo, faranno benissimo, farebbero benissimo se l’Inter non li avesse rovinati per sempre. Persino Herrera e Mourinho, dopo, non sono stati più gli stessi.

Ma non andrà sempre così. Un giorno le cose cambieranno. Un giorno ci sveglieremo campioni d’Italia, dirigenti d’azienda, musicisti famosi. Perché del resto è vero che le cose non sono andate come potevano, ma abbiamo degli ottimi alibi: siamo dell’Inter, e gli arbitri, fra le altre cose, non ci trattano quasi mai con un occhio di riguardo.

Un giorno ci daranno finalmente un rigore. E noi lo sbaglieremo.