5 aprile 2014: Inter-Bologna 2-2
Ho passato i quarant’anni e sono ancora pieno di difetti. Sono
invidioso, livoroso, nevrotico. Perdo tempo a fare cose di nessuna
importanza, sapendo che fra vent’anni me ne pentirò – se le cose
di nessuna importanza nel frattempo non mi avranno ammazzato. Butto
via il tempo a far passare il tempo, invece di starci dentro. Non mi
concentro abbastanza sulle cose belle, giuste e vere. Non ho il
coraggio di tentare l’insolito – magari l’anno prossimo, mi
dico sempre. Non ho l’umiltà di riconoscere la sensatezza delle
vite altrui. Non mi concentro a dovere, e a volte il mio cervello si
spegne nei momenti meno opportuni – mentre faccio lezione, nel bel
mezzo di una canzone. Non faccio niente per correggere tutti i
difetti di cui sopra.
Da oggi, però – anzi, da sabato scorso – ho un alibi perfetto.
Non è colpa mia: è colpa dell’Inter. Se l’avessi capito prima,
avrei potuto usarlo a scuola, all’università, ai concorsi andati
male. Non ho studiato la poesia? È colpa dell’Inter, dopo il
girone di ritorno si è piantata e Beccalossi ha smesso di buttarla
dentro. Mi hanno bocciato allo scritto di tedesco 3? Che c’entro io
– è l’Inter che è finita addirittura in zona retrocessione,
quest’anno. È andato male il concorso per fare l’interprete
all’Unione Europea, d’accordo – ma dico, l’avete visto il
rigore non dato a Ronaldo? È colpa dell’Inter, o della Juve, che è
poi la stessa cosa.
L’ho pensato sabato scorso, alle undici di sera, mentre passeggiavo
per Comacchio con un ginocchio fiaccato dall’umidità e la pancia
piena di pesce di fiume: come fa uno a concentrarsi sulle cose, a
distinguere il bene dal male e l’essenziale dal superfluo, quando è
occupato, per una buona metà dell’esistenza, a deprimersi per la
domenica prima o a preoccuparsi per la domenica dopo?
La Paola sorrideva dall’alto delle sue gambe e dei suoi tacchi, fra
i ponti di Comacchio – lei ci aveva provato, a far vincere l’Inter
(prima o poi bisognerà che racconti di quando la Paola ci ha fatto
vincere la coppa dei campioni, altro che Milito). Sul 2-2 si era
messa a fissare il televisore ed era riuscita a far fischiare un
rigore per l’Inter. Poi Milito ha preso la palla, si è sentito
investito dello spirito del Becca, e ha detto col linguaggio del
corpo: la tiro io. Poi Milito, sempre col linguaggio del corpo, ha
aggiunto: sono un giocatore talmente importante che non ho neanche
bisogno di angolarla o di spiazzare il portiere. Portiere, palla e
porta mi devono obbedire. A quel punto, neanche la Paola poteva
salvarlo. Non era colpa sua – sua della Paola, ma anche sua di
Milito. Era colpa dell’Inter.
È andata così. Come sanno quelli che hanno letto altre puntate di
questo blog, io non guardo mai le partite dell’Inter – non le
guardavo neanche dal 2006 al 2010, figurarsi. Al massimo le seguo al
televideo, ma anche così soffro troppo e intuisco il disdoro (sempre
che non si stia sul 4-0 con gli avversari in nove). Lo scorso sabato,
poi, festeggiavamo il compleanno della Paola, e io avevo preparato
tutto un programma all’insegna della bassa pianura veneta e del
pesce palustre. Non sapevo neanche che giocasse, l’Inter. Ero
convinto che giocasse lunedì. L’idea era quella di andare a
Rovigo, dove c’era una mostra – poi spritz a Rovigo e anguilla a
Comacchio. L’idea dell’anguilla era uno di quei desideri da mezza
età – nonostante quel che ho detto sopra – di fare cose mai
fatte prima. Andare in Botswana, mangiare l’anguilla. In Botswana
ci andremo l’anno prossimo, mi sono detto.
E insomma, il programma va bene, anche se certe parti del centro di
Rovigo sembrano concepite come forma di contraerea psicologica (“No,
non possiamo sprecare una bomba per quella roba”). La piazza però
è bella. Lo spritz è mediocre – esiste uno spritz che non sia
mediocre? – ma ci ubriaca a buon mercato, e migliora di parecchio
il centro di Rovigo. La mostra non è bella ma è “interessante”
– il che ci permette di discutere, ubriachi, di come la categoria
dell’interessante sia sopravvalutata. L’anguilla è più buona di
quanto ci aspettassimo, come continueremo a ripeterci per giorni.
Bravo quel danese, come si chiamava. Ammazza, buona l’anguilla. Ma
quell’altro delle betulle, cos’era, di Ferrara? Piacenza?
L’avresti detto che era così saporita l’anguilla? Eccetera.
Solo che quando arriviamo all’anguilla, la serata ha già preso una
brutta piega. Siamo entrati in questo ristorante di Comacchio, che fa
bene le cose semplici (a differenza di Rolando, per dire) o sa
nascondere bene i suoi difetti (a differenza del povero Cambiasso).
Il ristoratore, che è di poche parole ma efficace (a differenza di
Guarin), ci ha accompagnati a un tavolo messo da un lato ma gradevole
alla vista (a differenza di Nagatomo). Quando gli abbiamo chiesto un
abbinamento cibo-vino, ci ha dato i giusti consigli su come muoverci
(a differenza di Mazzarri). L’unico problema è che il tavolo che
ci ha dato è davanti a un enorme televisore ultrapiatto, che per me
grida anche se ha il volume a zero: quando ci sediamo, stanno
scendendo in campo undici figuri che conosco bene, e il mio
sentimento è lo stesso di sempre: porca di quella vacca, non voglio
guardare la partita / non ho intenzione di staccare gli occhi dallo
schermo nemmeno per un secondo.
La cronaca è presto fatta. Dopo qualche minuto alzo gli occhi sullo
schermo, e l’Inter sta già uno a zero. Bello, penso, anche se non
ho visto il gol. Dopo un po’ rialzo lo sguardo, e c’è una palla
nell’area dell’Inter. Nel giro di un secondo e mezzo arriva il
pareggio del Bologna. Nel secondo tempo, rialzo lo sguardo e scopro
che l’Inter ha appena segnato – stavolta faccio in tempo a vedere
il replay. Bel gol. Rialzo lo sguardo e vedo una palla buttata in
area, due difensori dell’Inter che si guardano attoniti come
Stanlio allo specchio, e un attaccante del Bologna che segna in
pantofole. A questo punto sono incollato allo schermo per il tempo
che resta, e mi guardo il rigore sbagliato e il Bologna che a momenti
fa il terzo gol. Non ho forse neanche bisogno di rimarcare che i gol
dell’Inter li avverto dopo, come la felicità che riconosci quando
è passata, mentre quelli del Bologna li sento arrivare come un vaso
che sibila dal davanzale di sopra.
Il resto della serata è uguale a tanti resti di serata di quando ero
ragazzino, passati a correggere mentalmente le azioni finite male –
ma con una consapevolezza che da ragazzino non avevo. È una cosa che
ho capito vedendo il povero Mazzarri ingobbito e grifagno. L’ho
guardato bene e non ho pensato “maledetto, neanche tu sei il
Messia”, ma “poveraccio, non è colpa sua, è colpa dell’Inter”.
Hanno inquadrato Thohir in tribuna e non ho pensato “specie di
arancino siciliano con il sorriso mellifluo e l’occhio malvagio,
cosa ci sei venuto a fare qua in Europa?” ma “poveraccio, in che
guaio si è andato a cacciare”. Il rigore sbagliato di Milito? L’ha
sbagliato perché gioca nell’Inter. Lo svenimento di Rolando?
Fiacchezze causate dall’Inter. La sensazione generale di fragilità
psicologica e alienazione mentale di tutta la squadra? Poveracci, che
vuoi farci, è colpa dell’Inter, ne ho viste altre cento di Inter
come questa.
E così, amici, se non siamo ancora arrivati ai massimi livelli delle
nostre professioni non è colpa nostra, ma è colpa dell’Inter. Se
io e te non siamo ancora sulle copertine delle riviste musicali,
Giacomo Toni, non è perché la nostra musica non vale abbastanza o i
giornalisti non la capiscono – è colpa dell’Inter. E se là
fuori ci sono degli interisti adulti che non hanno ancora messo su
famiglia e non hanno nessuno con cui stare, non è per via
dell’igiene imperfetta o dello sguardo da psicopatici – è perché
tengono alla squadra sbagliata. E del resto anche i giocatori, gli
allenatori, i presidenti non hanno colpe: sono anche loro vittime
dell’Inter. Altrove hanno fatto benissimo, faranno benissimo,
farebbero benissimo se l’Inter non li avesse rovinati per sempre.
Persino Herrera e Mourinho, dopo, non sono stati più gli stessi.
Ma non andrà sempre così. Un giorno le cose cambieranno. Un giorno
ci sveglieremo campioni d’Italia, dirigenti d’azienda, musicisti
famosi. Perché del resto è vero che le cose non sono andate come
potevano, ma abbiamo degli ottimi alibi: siamo dell’Inter, e gli
arbitri, fra le altre cose, non ci trattano quasi mai con un occhio
di riguardo.
Un giorno ci daranno finalmente un rigore. E noi lo sbaglieremo.
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