martedì 8 aprile 2014

17. Non è colpa nostra: è colpa dell’Inter


5 aprile 2014: Inter-Bologna 2-2

Ho passato i quarant’anni e sono ancora pieno di difetti. Sono invidioso, livoroso, nevrotico. Perdo tempo a fare cose di nessuna importanza, sapendo che fra vent’anni me ne pentirò – se le cose di nessuna importanza nel frattempo non mi avranno ammazzato. Butto via il tempo a far passare il tempo, invece di starci dentro. Non mi concentro abbastanza sulle cose belle, giuste e vere. Non ho il coraggio di tentare l’insolito – magari l’anno prossimo, mi dico sempre. Non ho l’umiltà di riconoscere la sensatezza delle vite altrui. Non mi concentro a dovere, e a volte il mio cervello si spegne nei momenti meno opportuni – mentre faccio lezione, nel bel mezzo di una canzone. Non faccio niente per correggere tutti i difetti di cui sopra.

Da oggi, però – anzi, da sabato scorso – ho un alibi perfetto. Non è colpa mia: è colpa dell’Inter. Se l’avessi capito prima, avrei potuto usarlo a scuola, all’università, ai concorsi andati male. Non ho studiato la poesia? È colpa dell’Inter, dopo il girone di ritorno si è piantata e Beccalossi ha smesso di buttarla dentro. Mi hanno bocciato allo scritto di tedesco 3? Che c’entro io – è l’Inter che è finita addirittura in zona retrocessione, quest’anno. È andato male il concorso per fare l’interprete all’Unione Europea, d’accordo – ma dico, l’avete visto il rigore non dato a Ronaldo? È colpa dell’Inter, o della Juve, che è poi la stessa cosa.

L’ho pensato sabato scorso, alle undici di sera, mentre passeggiavo per Comacchio con un ginocchio fiaccato dall’umidità e la pancia piena di pesce di fiume: come fa uno a concentrarsi sulle cose, a distinguere il bene dal male e l’essenziale dal superfluo, quando è occupato, per una buona metà dell’esistenza, a deprimersi per la domenica prima o a preoccuparsi per la domenica dopo?

La Paola sorrideva dall’alto delle sue gambe e dei suoi tacchi, fra i ponti di Comacchio – lei ci aveva provato, a far vincere l’Inter (prima o poi bisognerà che racconti di quando la Paola ci ha fatto vincere la coppa dei campioni, altro che Milito). Sul 2-2 si era messa a fissare il televisore ed era riuscita a far fischiare un rigore per l’Inter. Poi Milito ha preso la palla, si è sentito investito dello spirito del Becca, e ha detto col linguaggio del corpo: la tiro io. Poi Milito, sempre col linguaggio del corpo, ha aggiunto: sono un giocatore talmente importante che non ho neanche bisogno di angolarla o di spiazzare il portiere. Portiere, palla e porta mi devono obbedire. A quel punto, neanche la Paola poteva salvarlo. Non era colpa sua – sua della Paola, ma anche sua di Milito. Era colpa dell’Inter.

È andata così. Come sanno quelli che hanno letto altre puntate di questo blog, io non guardo mai le partite dell’Inter – non le guardavo neanche dal 2006 al 2010, figurarsi. Al massimo le seguo al televideo, ma anche così soffro troppo e intuisco il disdoro (sempre che non si stia sul 4-0 con gli avversari in nove). Lo scorso sabato, poi, festeggiavamo il compleanno della Paola, e io avevo preparato tutto un programma all’insegna della bassa pianura veneta e del pesce palustre. Non sapevo neanche che giocasse, l’Inter. Ero convinto che giocasse lunedì. L’idea era quella di andare a Rovigo, dove c’era una mostra – poi spritz a Rovigo e anguilla a Comacchio. L’idea dell’anguilla era uno di quei desideri da mezza età – nonostante quel che ho detto sopra – di fare cose mai fatte prima. Andare in Botswana, mangiare l’anguilla. In Botswana ci andremo l’anno prossimo, mi sono detto.

E insomma, il programma va bene, anche se certe parti del centro di Rovigo sembrano concepite come forma di contraerea psicologica (“No, non possiamo sprecare una bomba per quella roba”). La piazza però è bella. Lo spritz è mediocre – esiste uno spritz che non sia mediocre? – ma ci ubriaca a buon mercato, e migliora di parecchio il centro di Rovigo. La mostra non è bella ma è “interessante” – il che ci permette di discutere, ubriachi, di come la categoria dell’interessante sia sopravvalutata. L’anguilla è più buona di quanto ci aspettassimo, come continueremo a ripeterci per giorni. Bravo quel danese, come si chiamava. Ammazza, buona l’anguilla. Ma quell’altro delle betulle, cos’era, di Ferrara? Piacenza? L’avresti detto che era così saporita l’anguilla? Eccetera.

Solo che quando arriviamo all’anguilla, la serata ha già preso una brutta piega. Siamo entrati in questo ristorante di Comacchio, che fa bene le cose semplici (a differenza di Rolando, per dire) o sa nascondere bene i suoi difetti (a differenza del povero Cambiasso). Il ristoratore, che è di poche parole ma efficace (a differenza di Guarin), ci ha accompagnati a un tavolo messo da un lato ma gradevole alla vista (a differenza di Nagatomo). Quando gli abbiamo chiesto un abbinamento cibo-vino, ci ha dato i giusti consigli su come muoverci (a differenza di Mazzarri). L’unico problema è che il tavolo che ci ha dato è davanti a un enorme televisore ultrapiatto, che per me grida anche se ha il volume a zero: quando ci sediamo, stanno scendendo in campo undici figuri che conosco bene, e il mio sentimento è lo stesso di sempre: porca di quella vacca, non voglio guardare la partita / non ho intenzione di staccare gli occhi dallo schermo nemmeno per un secondo.

La cronaca è presto fatta. Dopo qualche minuto alzo gli occhi sullo schermo, e l’Inter sta già uno a zero. Bello, penso, anche se non ho visto il gol. Dopo un po’ rialzo lo sguardo, e c’è una palla nell’area dell’Inter. Nel giro di un secondo e mezzo arriva il pareggio del Bologna. Nel secondo tempo, rialzo lo sguardo e scopro che l’Inter ha appena segnato – stavolta faccio in tempo a vedere il replay. Bel gol. Rialzo lo sguardo e vedo una palla buttata in area, due difensori dell’Inter che si guardano attoniti come Stanlio allo specchio, e un attaccante del Bologna che segna in pantofole. A questo punto sono incollato allo schermo per il tempo che resta, e mi guardo il rigore sbagliato e il Bologna che a momenti fa il terzo gol. Non ho forse neanche bisogno di rimarcare che i gol dell’Inter li avverto dopo, come la felicità che riconosci quando è passata, mentre quelli del Bologna li sento arrivare come un vaso che sibila dal davanzale di sopra.

Il resto della serata è uguale a tanti resti di serata di quando ero ragazzino, passati a correggere mentalmente le azioni finite male – ma con una consapevolezza che da ragazzino non avevo. È una cosa che ho capito vedendo il povero Mazzarri ingobbito e grifagno. L’ho guardato bene e non ho pensato “maledetto, neanche tu sei il Messia”, ma “poveraccio, non è colpa sua, è colpa dell’Inter”. Hanno inquadrato Thohir in tribuna e non ho pensato “specie di arancino siciliano con il sorriso mellifluo e l’occhio malvagio, cosa ci sei venuto a fare qua in Europa?” ma “poveraccio, in che guaio si è andato a cacciare”. Il rigore sbagliato di Milito? L’ha sbagliato perché gioca nell’Inter. Lo svenimento di Rolando? Fiacchezze causate dall’Inter. La sensazione generale di fragilità psicologica e alienazione mentale di tutta la squadra? Poveracci, che vuoi farci, è colpa dell’Inter, ne ho viste altre cento di Inter come questa.

E così, amici, se non siamo ancora arrivati ai massimi livelli delle nostre professioni non è colpa nostra, ma è colpa dell’Inter. Se io e te non siamo ancora sulle copertine delle riviste musicali, Giacomo Toni, non è perché la nostra musica non vale abbastanza o i giornalisti non la capiscono – è colpa dell’Inter. E se là fuori ci sono degli interisti adulti che non hanno ancora messo su famiglia e non hanno nessuno con cui stare, non è per via dell’igiene imperfetta o dello sguardo da psicopatici – è perché tengono alla squadra sbagliata. E del resto anche i giocatori, gli allenatori, i presidenti non hanno colpe: sono anche loro vittime dell’Inter. Altrove hanno fatto benissimo, faranno benissimo, farebbero benissimo se l’Inter non li avesse rovinati per sempre. Persino Herrera e Mourinho, dopo, non sono stati più gli stessi.

Ma non andrà sempre così. Un giorno le cose cambieranno. Un giorno ci sveglieremo campioni d’Italia, dirigenti d’azienda, musicisti famosi. Perché del resto è vero che le cose non sono andate come potevano, ma abbiamo degli ottimi alibi: siamo dell’Inter, e gli arbitri, fra le altre cose, non ci trattano quasi mai con un occhio di riguardo.

Un giorno ci daranno finalmente un rigore. E noi lo sbaglieremo.

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