8 dicembre 2013: Inter-Parma 3-3
Fa freddo, il cielo è grigio, e l’Inter ha pareggiato. No –
secondo logica, mi tocca invertire l’ordine dei fattori: l’Inter
ha pareggiato, il cielo è grigio e fa anche freddo.
Oggi è una giornata grigia, a Udine. Ci sono due o tre gradi sopra
lo zero. L’Inter ha pareggiato in casa. I friulani camminano con le
mani piantate in tasca e gli occhi puntati a terra, come se avessero
perso un decino e lo cercassero, più che per il decino in sé, per
ripicca contro la vita e contro l’idea che i decini si perdono.
I miei studenti, alle otto e mezzo del mattino, sono asserragliati
nel sonno. Tengono le braccia incrociate – uno sciopero
involontario dell’apprendimento. E per inciso, l’Inter ha
pareggiato in casa col Parma.
L’Inter ha pareggiato in casa col Parma – perdeva 1-0, e poi 2-1
per una papera del portiere. Poi aveva anche recuperato. Alle due del
pomeriggio, ho davanti un’altra covata di studenti (più grandi,
quelli della specialistica) e la prospettiva di correggere trentotto
traduzioni in serata, perché poi gliele devo riconsegnare domattina.
A un certo punto l’Inter stava anche 3-2, col Parma, ma ha ripreso
gol quasi subito. Sono cose che capitano, in un processo di
apprendimento.
L’Inter ha pareggiato, e la Juve è sopra di dodici punti, ma
naturalmente questo è un anno di transizione, dobbiamo solo arrivare
fra le prime tre, anzi fra le prime cinque, anzi, quello che conta è
rivalutare la rosa, tutto sommato. Dopo questo preappello, mi rimane
una lezione dalle quattro alle sei, e so che a quell’ora gli
studenti mi guardano come chiedendosi: “perché questo bislacco
animale si ostina a non estinguersi?” Io, di mio, li guardo con
l’aria di uno che sa che Cambiasso, a pochi minuti dalla fine,
poteva fare il gol del 4-3 di sinistro, al volo.
Chissà se riesco a finire di correggere per le dieci di sera? Magari
mangio dopo aver finito, e poi vedo se c’è qualcosa di
interessante su RaiStoria o su LaEffe. Che so, un programma sulla
Grande Guerra o qualche altra catastrofe. Calcio no, perché oggi è
lunedì, e poi l’Inter ha pareggiato. Che Cambiasso poi di solito
li fa, quei gol lì.
Ieri sera, in treno, ho preparato messaggi per promuovere il disco
nuovo e proporre concerti in giro. Li ho scritti in terza persona,
con tono trionfalistico, dicendo che Moro & the Silent Revolution
partivano da Forlì alla conquista del Regno Unito e poi del mondo,
più o meno. Chissà se era credibile, il tono trionfalistico –
sono pochissime le frasi che riescono credibili se ci metti dentro la
città di Forlì. Una è “Forlì è una città grigia”. Grigia
come un pareggio in casa a inizio dicembre con una squadra di metà
classifica. Ma bisogna tenere presente che questi giocatori, pochi
mesi fa, avevano perso tutta la fiducia in se stessi.
Forse me lo sentivo già in treno, che si pareggiava. Sarà meglio
che riguardi bene quei messaggi trionfalistici, prima di spedirli.
Anche se stasera non so mica se ho tempo – devo correggere
trentotto traduzioni. A parte questo, a parte l’ultima lezione che
mi aspetta, non è mica male, questa giornata. Sì, l’Inter ha
pareggiato, è grigio e devo lavorare, ma io non sono mica come certi
altri amici che quando la loro squadra perde, o pareggia in casa con
una squadra di metà classifica – che è un po’ la stessa cosa, a
pensarci bene, specie da quando la vittoria vale tre punti – si
lasciano andare, smadonnano, insultano l’arbitro. Io so vedere le
cose in prospettiva. Sì, forse c’era un rigore, o forse non c’era
però ogni tanto i rigori che non ci sono agli altri li danno – lo
dico così, per completezza di informazione – ma probabilmente non
sarebbe cambiato niente. Dopotutto si stava sul 2-1 per loro, e
avevamo anche ribaltato il risultato, prima di prendere un altro gol
da cretini nel giro di quattro minuti.
(Certo, prendere qualche gol da cretini ci sta, in un anno di
transizione e di apprendimento.)
Mancano ancora sei-sette ore a quando mi potrò riposare, e forse si
mette a piovere. Mio padre, quando ero bambino, era di cattivo umore
tutte le volte che il Milan perdeva – e il Milan perdeva spesso,
quando ero bambino. Ricordo le finali di Mitropa Cup guardate con
lui. E ricordo che la mia nonna materna, per giustificare il suo
comportamento, diceva ah, cosa vuoi, ha perso il Milan, con questo
Milan, e sospirava, come parlasse di uno che ha una brutta malattia.
E anch’io, da bambino, la prendevo male. Ricordo
quell’Inter-Austria Vienna di Coppa Uefa, per esempio – bastava
un 1-0 per passare il turno, e invece niente. Io dormivo dai miei
nonni materni, e passai il resto della nottata ad alterare
mentalmente le azioni per far segnare Altobelli e compagnia. Mio
nonno, buonanima, sosteneva perfino che mi ero alzato a sedere sul
letto – dormivo con lui, chissà perché – e che avevo urlato
“Scatta sulla fascia – gol!”
Per fortuna non sono più fatto così, perché altrimenti oggi avrei
motivo di essere di pessimo umore – è il terzo pareggio di fila,
dopotutto, in tre partite con squadre di mezza o bassa classifica.
Gli amici romanisti, per esempio – loro si arrabbiano tantissimo.
Li vedo su facebook. E stamattina c’era un amico interista che
chiedeva già le dimissioni di Mazzarri – io mi sono trattenuto, ma
avrei potuto fargli presente che è presto, che bisogna sempre essere
equilibrati, che Mazzarri ha fatto sempre bene in tutte le squadre
che ha allenato, e che i conti si fanno alla fine. E alla fine è pur
sempre importante non perdere, e si poteva anche perdere, ieri sera.
Certo, si poteva anche vincere – bastava avere un paio di scimmie
antropomorfe di media intelligenza in difesa, o che Cambiasso facesse
quel gol, perché di solito lui quei gol li fa, non so se l’ho
detto.
È quasi ora di uscire di qui con il mio fascio di compiti
sottobraccio, e di avviarmi verso l’aula dell’ultima lezione.
L’aula è in un ex convitto – non è il posto in cui faccio
lezione di solito – e fa un effetto un po’ desolante. Ci si
aspetta di veder arrivare due o tre suore tarchiate con il pentolone
di zuppa di cavoli. Oggi due o tre studenti devono fare i loro
interventi in aula, e una ventina di minuti andrà via così: mentre
li ascolto dovrò sforzarmi, per evitare di visualizzare come sarebbe
andata se sull’azione dello 0-1 Juan avesse capito un attimo prima
il passaggio filtrante telefonato di Cassano, o di Sansone, o di chi
diavolo era.
(Muoia con tutti i Filistei, comunque.)
Fuori, alle quattro del pomeriggio, fa un freddo cane e sembra già
notte. In giro a Udine c’è già gente che beve senza gioia, da
sola. Mi guardano con aria di sfida, come a dire: “Sì, noi siamo
uomini tristi, ma tu hai pareggiato in casa col Parma”.
Naturalmente, c’è una remota possibilità che non lo stiano
veramente pensando.
Io, in ogni caso, non li vedo già più, e non vedo neanche i miei
studenti, anche se li ascolto. Come al solito sto pensando alla
secessione, a un mondo abitato solo da interisti e fatto a misura di
interisti – volendo possono entrare anche i torinisti, una volta
ogni tanto e per inviti. Un mondo in cui il lunedì parliamo solo
dell’Inter, e non importa se l’Inter ha pareggiato, perché in
quel mondo le altre squadre, comunque, non fanno punti. Il peggio che
può capitare è che il vantaggio dell’Inter sulle altre non
aumenti. E tutte le domeniche, e un mercoledì sì e uno no, Mourinho
salta in campo agitando le braccia come un bambino di sei anni,
Nicolino Berti spacca le traverse a colpi di testa, e il Becca
sbaglia rigori su rigori ma gliene danno sempre un altro.
Quando ero piccolo, di solito, in questo periodo grigio e freddo il
campionato era già scritto. L’Inter era appena uscita dalle coppe
o stava per uscire. Ma per fortuna, quest’anno, nelle coppe non ci
siamo nemmeno entrati. E per fortuna io non me la prendo più come
una volta.
Fa freddo, il cielo è grigio, e l’Inter ha pareggiato.
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