lunedì 12 novembre 2012

11. Il campionato immaginario

11 novembre 2012: Atalanta-Inter 3-2 → 1-3


Amici, fratelli interisti: d’ora in poi non dovrete più temere il lunedì. Nel momento in cui scrivo guardo fuori dalla finestra, e vedo un mondo desolato, tetro e cupo. Il cielo grigio e la pioggia battente, senza dubbio, influenzano la mia percezione. Ma a pesare molto più gravemente sul mio umore, così come, non ne dubito, sul vostro, ci sono i risultati dell’ultima giornata di campionato. Ed è un fatto che non ho nessuna vera memoria delle condizioni atmosferiche della scorsa domenica (si veda la puntata ‘Una volta nella vita’) – e tuttavia sono convinto che ci fosse il sole e che la temperatura stesse almeno sui venti-venticinque gradi.

Fino ad oggi, in lunedì come questi, vi siete potuti affidare a due ordini di consolazioni: quelle ontologiche e quelle contingenti. Al primo ordine appartengono argomenti ormai ben noti, già trattati a partire dall’undicesimo secolo da filosofi teoretici come Sant’Anselmo d’Aosta. Per esempio: 1) L’importante è la salute, e che tutti i miei familiari stiano bene; 2) Per fortuna quest’anno ho deciso di seguire il basket, che magari non vince la solita Siena, hai visto Varese che va fortissimo? 3) Tanto il campionato italiano, cosa vuoi il campionato italiano, ormai è di seconda fascia, io guardo solo le partite inglesi, figurati; 4) Atalanta che? Ma cosa vuoi che me ne freghi a me del calcio, che ho un sacco di cose da fare? Adesso togliti dalle palle, maledetto juventino.

(Una nota al margine: se usate qualche forma di consolazione ontologica per dichiarare il vostro disinteresse in presenza di altre persone, evitate code come quella che chiude il capoverso qui sopra. Potreste tradirvi.)

Quanto alle consolazioni contingenti, anche qui esiste ormai una letteratura secondaria ampia e varia. Per riassumere, si va da 1) Tanto i conti si fanno alla fine, siamo solo a novembre/dicembre/gennaio/febbraio/marzo/aprile/maggio, a 2) Stramaccioni è bravo, bisogna lasciarlo lavorare, anche con la Primavera all’inizio ha perso parecchie partite, passando per l’intramontabile 3) Io comunque l’ho sempre detto che si deve puntare al terzo posto, anzi, già il terzo posto sarebbe un mezzo miracolo.

Ma ora, come dicevo all’inizio, la vostra scelta non è più limitata a questi due ordini di consolazioni/giustificazioni. A partire da oggi, questa rubrica vi offre il servizio ‘Campionato immaginario,’ grazie al quale potete abitare una realtà parallela in cui l’Inter è la Juve, e la Juve, se mi date due o tre anni di tempo, è più o meno la Santarcangiolese.

Ecco come funziona: in questo preciso istante, prima ancora di finire la puntata odierna di ‘La morte è come una partita dell’Inter,’ andate a tagliare i cavi di tutti i televisori e le radio di casa. Quanto ai vostri computer, sia a casa sia al lavoro, disabilitate i siti sportivi e i portali di informazione in genere. Accordatevi con il vostro edicolante affinché vi tagli le pagine sportive dal quotidiano – se il vostro quotidiano è la Gazzetta, probabilmente vi stancherete presto di pagare un euro e venti per la rubrica ‘altri mondi’ e l’oroscopo. Infine, allenatevi a cantare a squarciagola ‘La fisarmonica’ non appena quel collega che parla sempre di calcio si avvicina alla vostra scrivania di lunedì mattina.

Fatto? Benissimo. Ora godetevi questa intervista che ci ha concesso Andrea Stramaccioni dopo la vittoria per 3-1 in casa dell’Atalanta, che grazie all’uno a uno fra Pescara e Juventus del giorno prima ha portato l’Inter in testa alla classifica del campionato Italiano.


Mister Stramaccioni, ancora una grande vittoria. Dove può arrivare questa sua Inter?
Questo non lo so, lo vedremo solo alla fine del campionato. Però posso dire che ho una squadra di ragazzi fantastici e di grandi uomini, che mi hanno dato la loro disponibilità fin dal primo momento. E non parlo solo dei titolari, perché questi sono tutti professionisti eccezionali. Alvarez, per esempio, oggi mi ha commosso. Non lo faccio giocare quasi mai, eppure oggi gli ho chiesto di lucidarmi le scarpe durante la partita e lui non ha neanche fiatato.

Ora siete in testa alla classifica. Questo vi fa sentire il peso della responsabilità?
Assolutamente, ma guarda, il campionato è appena iniziato, e noi questa è una responsabilità che sentiamo sempre e che ci fa sentire molto orgogliosi. Anzi, più responsabilità abbiamo e più lavoriamo con passione e attenzione. Ma dobbiamo anche ringraziare il Pescara che con la Juve ha fatto una grande partita e che poteva anche vincere, e in particolare permettimi di ringraziare Stroppa che mi ha ascoltato per quarantacinque minuti di telefonata e ha applicato alla lettera tutte le mie disposizioni tattiche.

Ecco. Oggi però, a proposito di disposizioni tattiche, quel gol del Pescara a freddo ha rischiato di mandare all’aria tutti i vostri piani, no?
No, guarda, scusami ma non ti permetto di insinuare questa cosa, perché questi ragazzi sono fantastici, mi danno tutta la loro disponibilità, e noi in allenamento lavoriamo sempre con un’attenzione e una concentrazione assolute. Noi avevamo calcolato questa cosa, avevamo programmato di andare in svantaggio nei primi dieci minuti di partita, perché avevamo studiato un po’ le statistiche e sapevamo che l’Atalanta prende molti più gol quando è in vantaggio che sullo zero a zero. Quindi avevo chiesto ai ragazzi di prendere gol nei primi dieci minuti, e loro sono stati perfetti. Ma del resto lavoro con dei grandi professionisti.

Comunque certi dettagli, apparentemente casuali, lasciano pensare che questo potrebbe davvero essere l’anno dell’Inter. L’Atalanta che sbaglia il rigore del due a uno, e voi che segnate subito dopo. E poi quei tre gol al venticinquesimo, al cinquantesimo e al settantacinquesimo minuto.
No, vedi, mi piacerebbe, ma non so se lo possiamo interpretare come un segno del destino, perché i tre gol fatti così erano uno schema provato in allenamento. Avevo chiesto ai ragazzi di segnare solo in minuti multipli di cinque, e se possibile ai multipli di venticinque, cioè cinque al quadrato. Ci siamo detti: così l’avversario capisce che anche la matematica è dalla nostra parte, e perde tutte le speranze. E poi il tabellino finale viene più ordinato. In questo senso avrei sperato che nessuno degli avversari si facesse espellere nel finale, ma è andata così, dai. Non ti può sempre riuscire tutto.

E il rigore sbagliato dall’Atalanta? Anche quello è uno schema provato in allenamento?
Guarda, l’idea era che se verso il quarantottesimo eravamo in fase difensiva, cioè non stavamo sviluppando l’azione d’attacco di sei minuti e quarantadue secondi che doveva portarci a fare il secondo gol al cinquantesimo, Zanetti doveva toccare la palla di mano nella nostra area. A quel punto Palacio aveva la consegna di scattare sulla sinistra nel momento esatto in cui Denis calciava. In realtà Handanovic ci ha messo tre decimi in più del previsto ad alzarsi e a lanciare la palla con le mani, ma è andata bene lo stesso perché avevo calcolato la reazione del loro difensore, Stendardo, con sette decimi di errore sperimentale.

Molto bello il terzo gol, segnato da Livaja appena entrato. Certo questo ragazzo ha fatto una maturazione impressionante. Solo tre giorni fa faticava con i dopolavoristi del Partizan Belgrado, e oggi invece è partito dalla sua metà campo, ha scartato tutti ed è entrato in porta col pallone.
Sì, guarda, il gol di Marko mi ha fatto davvero molto piacere, perché lui si allena sempre con grandissima attenzione e concentrazione. Poi c’è da dire che il vero Livaja, secondo me, non l’abbiamo ancora visto. Oggi, per esempio, l’abbiamo sostituito con un cyborg che ha le sue sembianze. È un robot killer riprogrammato solo in parte da me, che gli faccio due ore di discorsi tattici al giorno e gli metto personalmente l’olio da macchine.

Grazie, Mister Stramaccioni. Buona domenica.
Grazie, ma per me che sia domenica non ha nessuna importanza, io sto già pensando al Cagliari. E guarda, hai la lampo abbassata.

Eh? Oh.
Sì. È un errore tipico da disattenzione, bisogna che per un paio di settimane ti vesti cinque-sei volte al giorno, invece di una sola. E la maglietta rossa sotto al maglione verde non la mettere più, che sta malissimo. E poi col tuo colore di capelli è meglio che usi dei colori pastelli, no? Fa’ una cosa, chiamami domattina sulle sette e mezzo, che ti faccio fare un po’ di riscaldamento al telefono e poi mi dici cos’hai nell’armadio. Eh? Ciao. Ciao. Stammi bene. Ciao.

Ehm... Ciao.

Bene. Qui finisce il servizio ‘Campionato immaginario,’ e quindi invito i lettori che hanno deciso di avvalersene a non proseguire la lettura. Per gli altri, e in particolare per gli interisti che abitano nella zona di Madrid – che non saranno tanti, ma qualcuno ci sarà – vorrei aggiungere una noterella finale. Due anni fa, Mourinho fece dichiarazioni d’amore per l’Inter poco prima del derby decisivo vinto dal Milan con doppietta di Pato. L’anno scorso, Mourinho si era dichiarato interista dopo il ciclo di vittorie di Ranieri, e subito prima che quel ciclo finisse. Quest’anno, Mourinho se n’era stato zitto fino a qualche tempo fa, quando ha annusato l’aria e ha ricominciato a parlare dell’Inter.

Per cambiare completamente discorso, pare che Mourinho sia molto affezionato a un porcellino d’india comprato a Milano e portato poi in Spagna. Questo grazioso animaletto vive nel giardino di Casa Mourinho, ed è ghiotto di Indivia Riccia. Si chiama Quaresma.

lunedì 5 novembre 2012

10. Una volta nella vita

3 novembre 2012: Juventus-Inter 1-3

Alle otto e quaranta del 3 novembre 2012, mi rendo conto che c’è Juve-Inter. Il che è curioso, perché lo so almeno da un paio di settimane che c’è Juve-Inter. Ma solo alle otto e quaranta del 3 novembre 2012 me ne rendo conto. Cioè, solo alle otto e quaranta, che nel frattempo sono già diventate le otto e quarantadue – ma ci sarà un motivo se il primo momento di piena lucidità è arrivato alle otto e quaranta e non alle otto e quarantadue – mi rendo conto che proprio oggi, 3 novembre 2012, c’è Juve-Inter. Di tutti i giorni che poteva scegliere, fra tutti gli anni che poteva scegliere, il computer o chi per lui (chi diavolo li decide i calendari dei campionati di calcio? Da quando hanno radiato Moggi non si viene mai a capo di nulla!) ha selezionato proprio il 3 novembre 2012, per Juve-Inter. Si poteva giocare anche domenica 4 novembre, magari il posticipo serale, ma no: il computer, con il suo bel simulatore di Moggi inserito dentro, ha deciso che si gioca stasera, il 3 novembre, quando io sto per andare al ristorante cinese con la Paola e i bambini.

Cioè, non che Giovanni si possa definire un bambino. Ha sedici anni ed è più alto di me – non ci vuole moltissimo ma l’ho trovato scortese lo stesso, quando mi ha superato. E tifa Juve. Ovvero non gliene frega niente del calcio ma dice che tifa Juve, che poi è tipico di quelli a cui non frega niente del calcio.

Comunque, ormai sono le otto e quarantasette e la Paola non è ancora pronta. Cecio, che si chiama Francesco ma vuole che lo chiamiamo Cecio, l’ho vestito, ha già le scarpe e la felpa termica, gli manca solo la sciarpa. Perciò faccio una cosa che non dovrei mai fare, quando c’è Juve-Inter. Mi infilo furtivo nella camera di Cecio, che se ne sta in sala a sudare con tutti gli strati che gli ho ammassato addosso. Accendo la televisione, la rai, metto il televideo e digito il numero duecentoventi. Così, giusto per vedere le formazioni, mento a me stesso – e mentre le tre cifre girano verso la combinazione fatale, contraggo i soliti muscoli innominabili e spero che in due minuti l’Inter sia già sul 2-0 e la Juve sia ridotta in otto per un attacco di follia collettiva. Magari in sette, va’, che in otto sono capaci di rimontare.

E invece eccolo là, il televideo. Il solito, irritante televideo. Me lo fa apposta. Juventus 1 Inter 0, dice. Vidal al primo minuto.

Contro di noi segna persino lo shampoo.

Spengo la televisione, metto altre tre felpe termiche al piccolo e usciamo. Camminando verso la macchina, maltratto chiunque per futili motivi. Guido in silenzio mentre gli altri parlano. Se mi rivolgono la parola, rispondo come un automa. E pensare che questa sera mi piaceva, l’idea del cinese, perché mi hanno pagato per un concerto e mi dà gusto usare quei soldi lì. Ma anche il glutammato di sodio extra-stipendio, ormai, che sapore vuoi che abbia?

Parcheggiamo in centro, scendiamo dalla macchina, ci avviamo verso il ristorante cinese.

‘Oh, stasera c’è Juventus-Inter!’ fa Giovanni.

Se fossi più lucido gli direi che nessun vero appassionato di calcio direbbe ‘Juventus’, ma in questo momento sto usando tutte le mie energie mentali per non mettermi a borbottare. Voglio tenere per me il mio dolore adolescenziale, e mettermi a borbottare sarebbe un grave errore. Come staccarsi una crosta in zona di squali.

Mi metto a borbottare.

‘Cioè, no, ma ti rendi conto, di tutti i giorni che potevano scegliere per questa partita, hanno scelto proprio il 3 novembre 2012? Che io di mio non gliela metterei proprio in calendario, Juve-Inter, cioè io se potessi eliminarli, quei maledetti, se potessero andare a giocare nel campionato tedesco, ma voglio dire, proprio stasera? Mavaffanculo!’

Grande Moro. Calmo, raziocinante, articolato. Cos’hai, nove anni?

In effetti sì – nove anni esatti. Me ne rendo conto perché mi guardo intorno in cerca di una lattina. Se ci fosse almeno una lattina buttata per terra, mi metterei a calciarla e dribblerei tutti. Oh, se li dribblerei tutti. Lo devono ancora inventare, il bambino di sei anni che è in grado di fermare una serpentina del Moro!

Quando entriamo al ristorante, approfitto di un attimo di distrazione dei tre minorenni per sibilare alla Paola, come se fosse colpa sua:

‘Che stava già anche uno a zero, cazzo. Al primo minuto!’

Allargo le braccia in un gesto di impotenza universale, ho gli occhi lucidi, ma la Paola, che è in piedi davanti a me e che quando è in piedi, anche se è alta un metro e settanta, sembra sempre venti centimetri di più, e non sono i tacchi, ha l’aria sorniona.

‘Non è ancora finita,’ dice sorridendo.

Io faccio un sorriso amaro, ma qualcosa dentro di me mi dice: bene, ora ti siedi e ti metti tranquillo. 

Allora mi siedo, mi metto tranquillo e ordino. Ci metto un po’, ma alla fine scelgo una zuppa piccante al pollo e i tagliolini allo scoglio alla piastra, che quando la signora del ristorante te li porta dice sempre ‘tagliatelle allo scoglio alla piastra.’ Giovanni, come d’abitudine, prende gli involtini primavera, gli spaghetti di riso e i gamberoni alla piastra, che quando la signora del ristorante te li porta dice sempre ‘gamberoni alla piastra.’ La Paola, spaghetti di riso e un secondo di carne che non ricordo (sto pur sempre cercando di fare espellere quattro juventini col pensiero). La Bianca, involtini e riso cantonese. Cecio aspetta il gelato fritto.

Per compiacerci, i ristoratori cinesi fanno arrivare le cose in ordine occidentale. Dopo gli involtini (antipasti) e prima degli spaghetti e del riso (primo asciutto) arriva la zuppa (primo in brodo). Io, come faccio sempre, chiedo alla Paola se ne vuole un po’. La prima volta gliel’ho chiesto per gentilezza, ma adesso glielo chiedo perché così le permetto di dire quanto le fa senso quella verdura mezza cotta in quell’acqua mezza salata. È una di quelle routine di famiglia che funzionano sempre e ti fanno stare bene, anche se mi farebbe stare meglio se l’anticipo di campionato fosse Siena-Cagliari. Che io i tifosi del Siena e del Cagliari me li immagino tranquilli, che anche loro dicano ma sì, chissenefrega poi se ha vinto il Siena o ha vinto il Cagliari? Non è mica Juve-Inter!

Ma me ne sto buono e non dico nulla, e qualche speranza nel cuore, cioè appena sopra a dove si sta andando a depositare il glutammato di sodio, ce l’ho. Perché la Paola, anche se i dettagli li dirò un’altra volta, è quella che ha fatto sì che beccassero Moggi e facessimo la tripletta del 2010. Non Tronchetti Provera, non Mourinho, non Milito: la Paola. Quindi se lei, proprio la sera del 3 novembre 2012, mi guarda sorridente e mi dice che non è ancora finita, vuol dire che non è ancora finita.

Giovanni finisce gli spaghetti di riso e dice, con la tranquillità beffarda che gli deriva dal suo personale superpotere, che a sua volta gli deriva, più che dal fatto di essere uno juventino fasullo, dal non fregargliene niente di niente né della Juve né di nient’altro:

‘Eh, è finito il primo tempo, eh?’

‘Eh,’ faccio io.

‘Anzi, è già il secondo tempo.’

‘Eh.’

Giovanni finisce anche i gamberoni e dice, con la stessa tranquillità, lo stesso superpotere e lo stesso non fregargliene niente di niente:

‘Eh, è finita la partita, eh?’

‘Eh,’ faccio io.

‘Chissà com’è andata, eh?’

‘Eh.’

Quando ordiniamo il gelato fritto, Cecio pianta una piccola grana. Giovanni vuole un gelato intero, alla Bianca ne basta mezzo e noi sappiamo che Cecio non ne finirebbe mai uno intero. Ma lui ne vuole uno intero come Giovanni. Lo convinciamo con il metodo matematico.

‘Mezzo gelato è meno di un gelato intero,’ gli dico contando sulle dita. ‘Ma è più di nessun gelato.’

Grazie alla matematica, Cecio si convince. Fatica a finire il mezzo gelato. Il gelato intero di Giovanni viene annientato da un laser antimateria. Io mi alzo per andare a pagare, e traggo qualche conforto dal fatto che nessuno parla della partita. Di solito, se l’Inter ha perso con la Juve o col Milan e io sono in un locale pubblico, trovo sempre qualcuno che lo dice ad alta voce. Al fischio finale del derby di ritorno della coppa dei campioni 2002-03, passavo davanti a un bar di Bologna e ho sentito una ragazza urlare: ‘Siete fuori, bastardi!’

Non avevo dubbi che parlasse con me.

Pago, bevo una grappa alla rosa e una alla prugna offerte dalla signora del ristorante, ringrazio, usciamo, e mentre ci avviamo alla macchina non sento neanche il rumore dei biscotti della fortuna scartati dagli altri quattro.

‘Adesso sentiamo com’è andata alla radio,’ fa Giovanni.

‘Neanche per sogno!’ dico io. Alla radio? Scherziamo? Di questo passo, andrà a finire che la prossima volta guardo anche la partita.

A casa riesco a entrare prima di tutti gli altri, a infilarmi di nuovo in camera di Cecio e ad accostare la porta. Tv, rai, televideo, pagina 220. I numeri girano. Io guardo da un’altra parte, poi guardo lo schermo. Ci metto un po’ a capire. Quando la Paola entra in casa e mi chiede com’è andata, la ringrazio. Lo so che è stata lei.

A mezzanotte compio quarant’anni, e sono ancora lì che mi guardo Boninsegna che commenta la partita. Rispetto a me, Bonimba ha qualche anno in più e un po’ di pancia. In una cosa, però, siamo uguali. Anche lui ha un sorriso che sembra una paralisi. Si vede benissimo che non ci crede.