lunedì 5 novembre 2012

10. Una volta nella vita

3 novembre 2012: Juventus-Inter 1-3

Alle otto e quaranta del 3 novembre 2012, mi rendo conto che c’è Juve-Inter. Il che è curioso, perché lo so almeno da un paio di settimane che c’è Juve-Inter. Ma solo alle otto e quaranta del 3 novembre 2012 me ne rendo conto. Cioè, solo alle otto e quaranta, che nel frattempo sono già diventate le otto e quarantadue – ma ci sarà un motivo se il primo momento di piena lucidità è arrivato alle otto e quaranta e non alle otto e quarantadue – mi rendo conto che proprio oggi, 3 novembre 2012, c’è Juve-Inter. Di tutti i giorni che poteva scegliere, fra tutti gli anni che poteva scegliere, il computer o chi per lui (chi diavolo li decide i calendari dei campionati di calcio? Da quando hanno radiato Moggi non si viene mai a capo di nulla!) ha selezionato proprio il 3 novembre 2012, per Juve-Inter. Si poteva giocare anche domenica 4 novembre, magari il posticipo serale, ma no: il computer, con il suo bel simulatore di Moggi inserito dentro, ha deciso che si gioca stasera, il 3 novembre, quando io sto per andare al ristorante cinese con la Paola e i bambini.

Cioè, non che Giovanni si possa definire un bambino. Ha sedici anni ed è più alto di me – non ci vuole moltissimo ma l’ho trovato scortese lo stesso, quando mi ha superato. E tifa Juve. Ovvero non gliene frega niente del calcio ma dice che tifa Juve, che poi è tipico di quelli a cui non frega niente del calcio.

Comunque, ormai sono le otto e quarantasette e la Paola non è ancora pronta. Cecio, che si chiama Francesco ma vuole che lo chiamiamo Cecio, l’ho vestito, ha già le scarpe e la felpa termica, gli manca solo la sciarpa. Perciò faccio una cosa che non dovrei mai fare, quando c’è Juve-Inter. Mi infilo furtivo nella camera di Cecio, che se ne sta in sala a sudare con tutti gli strati che gli ho ammassato addosso. Accendo la televisione, la rai, metto il televideo e digito il numero duecentoventi. Così, giusto per vedere le formazioni, mento a me stesso – e mentre le tre cifre girano verso la combinazione fatale, contraggo i soliti muscoli innominabili e spero che in due minuti l’Inter sia già sul 2-0 e la Juve sia ridotta in otto per un attacco di follia collettiva. Magari in sette, va’, che in otto sono capaci di rimontare.

E invece eccolo là, il televideo. Il solito, irritante televideo. Me lo fa apposta. Juventus 1 Inter 0, dice. Vidal al primo minuto.

Contro di noi segna persino lo shampoo.

Spengo la televisione, metto altre tre felpe termiche al piccolo e usciamo. Camminando verso la macchina, maltratto chiunque per futili motivi. Guido in silenzio mentre gli altri parlano. Se mi rivolgono la parola, rispondo come un automa. E pensare che questa sera mi piaceva, l’idea del cinese, perché mi hanno pagato per un concerto e mi dà gusto usare quei soldi lì. Ma anche il glutammato di sodio extra-stipendio, ormai, che sapore vuoi che abbia?

Parcheggiamo in centro, scendiamo dalla macchina, ci avviamo verso il ristorante cinese.

‘Oh, stasera c’è Juventus-Inter!’ fa Giovanni.

Se fossi più lucido gli direi che nessun vero appassionato di calcio direbbe ‘Juventus’, ma in questo momento sto usando tutte le mie energie mentali per non mettermi a borbottare. Voglio tenere per me il mio dolore adolescenziale, e mettermi a borbottare sarebbe un grave errore. Come staccarsi una crosta in zona di squali.

Mi metto a borbottare.

‘Cioè, no, ma ti rendi conto, di tutti i giorni che potevano scegliere per questa partita, hanno scelto proprio il 3 novembre 2012? Che io di mio non gliela metterei proprio in calendario, Juve-Inter, cioè io se potessi eliminarli, quei maledetti, se potessero andare a giocare nel campionato tedesco, ma voglio dire, proprio stasera? Mavaffanculo!’

Grande Moro. Calmo, raziocinante, articolato. Cos’hai, nove anni?

In effetti sì – nove anni esatti. Me ne rendo conto perché mi guardo intorno in cerca di una lattina. Se ci fosse almeno una lattina buttata per terra, mi metterei a calciarla e dribblerei tutti. Oh, se li dribblerei tutti. Lo devono ancora inventare, il bambino di sei anni che è in grado di fermare una serpentina del Moro!

Quando entriamo al ristorante, approfitto di un attimo di distrazione dei tre minorenni per sibilare alla Paola, come se fosse colpa sua:

‘Che stava già anche uno a zero, cazzo. Al primo minuto!’

Allargo le braccia in un gesto di impotenza universale, ho gli occhi lucidi, ma la Paola, che è in piedi davanti a me e che quando è in piedi, anche se è alta un metro e settanta, sembra sempre venti centimetri di più, e non sono i tacchi, ha l’aria sorniona.

‘Non è ancora finita,’ dice sorridendo.

Io faccio un sorriso amaro, ma qualcosa dentro di me mi dice: bene, ora ti siedi e ti metti tranquillo. 

Allora mi siedo, mi metto tranquillo e ordino. Ci metto un po’, ma alla fine scelgo una zuppa piccante al pollo e i tagliolini allo scoglio alla piastra, che quando la signora del ristorante te li porta dice sempre ‘tagliatelle allo scoglio alla piastra.’ Giovanni, come d’abitudine, prende gli involtini primavera, gli spaghetti di riso e i gamberoni alla piastra, che quando la signora del ristorante te li porta dice sempre ‘gamberoni alla piastra.’ La Paola, spaghetti di riso e un secondo di carne che non ricordo (sto pur sempre cercando di fare espellere quattro juventini col pensiero). La Bianca, involtini e riso cantonese. Cecio aspetta il gelato fritto.

Per compiacerci, i ristoratori cinesi fanno arrivare le cose in ordine occidentale. Dopo gli involtini (antipasti) e prima degli spaghetti e del riso (primo asciutto) arriva la zuppa (primo in brodo). Io, come faccio sempre, chiedo alla Paola se ne vuole un po’. La prima volta gliel’ho chiesto per gentilezza, ma adesso glielo chiedo perché così le permetto di dire quanto le fa senso quella verdura mezza cotta in quell’acqua mezza salata. È una di quelle routine di famiglia che funzionano sempre e ti fanno stare bene, anche se mi farebbe stare meglio se l’anticipo di campionato fosse Siena-Cagliari. Che io i tifosi del Siena e del Cagliari me li immagino tranquilli, che anche loro dicano ma sì, chissenefrega poi se ha vinto il Siena o ha vinto il Cagliari? Non è mica Juve-Inter!

Ma me ne sto buono e non dico nulla, e qualche speranza nel cuore, cioè appena sopra a dove si sta andando a depositare il glutammato di sodio, ce l’ho. Perché la Paola, anche se i dettagli li dirò un’altra volta, è quella che ha fatto sì che beccassero Moggi e facessimo la tripletta del 2010. Non Tronchetti Provera, non Mourinho, non Milito: la Paola. Quindi se lei, proprio la sera del 3 novembre 2012, mi guarda sorridente e mi dice che non è ancora finita, vuol dire che non è ancora finita.

Giovanni finisce gli spaghetti di riso e dice, con la tranquillità beffarda che gli deriva dal suo personale superpotere, che a sua volta gli deriva, più che dal fatto di essere uno juventino fasullo, dal non fregargliene niente di niente né della Juve né di nient’altro:

‘Eh, è finito il primo tempo, eh?’

‘Eh,’ faccio io.

‘Anzi, è già il secondo tempo.’

‘Eh.’

Giovanni finisce anche i gamberoni e dice, con la stessa tranquillità, lo stesso superpotere e lo stesso non fregargliene niente di niente:

‘Eh, è finita la partita, eh?’

‘Eh,’ faccio io.

‘Chissà com’è andata, eh?’

‘Eh.’

Quando ordiniamo il gelato fritto, Cecio pianta una piccola grana. Giovanni vuole un gelato intero, alla Bianca ne basta mezzo e noi sappiamo che Cecio non ne finirebbe mai uno intero. Ma lui ne vuole uno intero come Giovanni. Lo convinciamo con il metodo matematico.

‘Mezzo gelato è meno di un gelato intero,’ gli dico contando sulle dita. ‘Ma è più di nessun gelato.’

Grazie alla matematica, Cecio si convince. Fatica a finire il mezzo gelato. Il gelato intero di Giovanni viene annientato da un laser antimateria. Io mi alzo per andare a pagare, e traggo qualche conforto dal fatto che nessuno parla della partita. Di solito, se l’Inter ha perso con la Juve o col Milan e io sono in un locale pubblico, trovo sempre qualcuno che lo dice ad alta voce. Al fischio finale del derby di ritorno della coppa dei campioni 2002-03, passavo davanti a un bar di Bologna e ho sentito una ragazza urlare: ‘Siete fuori, bastardi!’

Non avevo dubbi che parlasse con me.

Pago, bevo una grappa alla rosa e una alla prugna offerte dalla signora del ristorante, ringrazio, usciamo, e mentre ci avviamo alla macchina non sento neanche il rumore dei biscotti della fortuna scartati dagli altri quattro.

‘Adesso sentiamo com’è andata alla radio,’ fa Giovanni.

‘Neanche per sogno!’ dico io. Alla radio? Scherziamo? Di questo passo, andrà a finire che la prossima volta guardo anche la partita.

A casa riesco a entrare prima di tutti gli altri, a infilarmi di nuovo in camera di Cecio e ad accostare la porta. Tv, rai, televideo, pagina 220. I numeri girano. Io guardo da un’altra parte, poi guardo lo schermo. Ci metto un po’ a capire. Quando la Paola entra in casa e mi chiede com’è andata, la ringrazio. Lo so che è stata lei.

A mezzanotte compio quarant’anni, e sono ancora lì che mi guardo Boninsegna che commenta la partita. Rispetto a me, Bonimba ha qualche anno in più e un po’ di pancia. In una cosa, però, siamo uguali. Anche lui ha un sorriso che sembra una paralisi. Si vede benissimo che non ci crede.

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