sabato 18 febbraio 2012

1. incipit: enter ghost

17 febbraio 2012: Inter-Bologna 0-3

La morte me la immagino come una partita dell’Inter. Non una partita vista dal vivo, allo stadio, e nemmeno in televisione. La morte me la immagino come una partita di cui segui solo il risultato, magari su un sito internet, alla pagina 220 del televideo, o peggio ancora, accendendo ogni tanto la televisione su quel canale dove c’è un tifoso del Milan, uno della Juventus e uno dell’Inter – come nelle barzellette – e ovviamente quello dell’Inter è un nevrastenico segaligno con la faccia scavata dalla tensione. Accendi la tv a volume zero – sei molto malato, e se qualcuno gridasse lo shock potrebbe ucciderti – e già vedi il segaligno che scuote la testa, anche se sta zero a zero. Ma ti dici: d’accordo, è normale, è lui che è fatto così. È carattere: io posso migliorare, non sono come lui, non sono così malato. Anzi, mi sento già meglio. Non ho bisogno delle medicine. Vado a farmi un giro, e chissenefrega. Adesso spengo la televisione e guardo il risultato solo alle dieci e quaranta, a partita finita. Tanto vinciamo.
    Ma subito dopo ti rendi conto dell’errore: non avresti dovuto usare la prima persona plurale. Già questo è un segno che le cose sono sul punto di virare verso la catastrofe. A questo punto, la cosa sensata da fare sarebbe spegnere davvero la televisione, e non riaccenderla più fino al giorno dopo. Difatti la riaccendi, e cominci a controllare la pagina del televideo con frequenza crescente secondo una curva esponenziale (hai fatto il liceo scientifico con una professoressa di matematica nazista, in altri anni in cui l’Inter comunque vinceva poco o niente): una volta al minuto (due elevato allo zero), due volte al minuto (due alla prima), quattro volte (due alla seconda), tante volte quante il televideo riesce a ricaricare la pagina (due alla enne).
    Tua moglie è di là che si fa la doccia, si veste, non sa nemmeno che sei malato. È bellissima, ma in questo momento se avesse il potere di far vincere l’Inter te la terresti anche deforme e butterata (fra l’altro quel potere ce l’avrebbe anche, volendo: ma di questo parlerò un’altra volta). Tuo figlio dorme: ti troverà cadavere domani mattina, e non saprà mai di che cosa sei morto. Visto che hai trentanove anni, si dirà: era molto vecchio.
    Sei solo: davanti alla morte sei solo, e il tuo cervello è occupato da un unico pensiero che non è nemmeno esattamente un pensiero. Guardi lo zero che sta a sinistra della pagina, cercando di convertirlo in uno per forza mesmerica. Magari ora l’arbitro butterà fuori tre giocatori del Bologna tutti insieme – undici contro otto te la potresti giocare con una certa tranquillità, questa partita. Se fossi in grado di ragionare, potresti dirti con un sorrisetto ironico che hai passato trent’anni della tua vita a imparare cose e a diventare una persona capace e raffinata, e non ti è servito a niente. Davanti a una partita dell’Inter, torni esattamente com’eri a nove anni.
    Ma non sei in grado di ragionare. Non sei in grado di sorridere, e in te non c’è nemmeno un briciolo di ironia. E in realtà non sei nemmeno come un bambino di nove anni. Sei un bambino di nove anni, ma senza la certezza che un giorno diventerai un grande calciatore e vincerai da solo tutte le partite dell’Inter. E già che ci sei, della Nazionale (formata, per l’occasione, da un blocco di nove giocatori dell’Inter, uno del Milan e uno della Juventus, questi ultimi in posizioni umili e ininfluenti; no, meglio un giocatore della Roma e uno della Fiorentina. Il Milan e la Juventus, del resto, occupano stabilmente le posizioni di metà classifica della Prima Categoria regionale).
    Badate bene, tifosi di tutte le altre squadre. Penserete che tutto questo non vi riguarda, che solo noi Interisti (e forse, che so, i tifosi dell’Arsenal) siamo così sfigati. È un errore. Anche voi avete la pelle di un tifoso dell’Inter – solo che vi ci siete messi sopra una maglietta colorata. Anche a voi, un giorno inatteso, capiterà una cosa di questo genere: vostra moglie vi chiamerà per chiedervi un favore, voi vi alzerete sbuffando, e qualche secondo dopo, tornando davanti alla TV con simulata indifferenza, scoprirete dalla pagina del televideo che il Bologna è avanti 1-0. A questo punto uscirete dalla pagina del televideo per vedere come ha reagito il nevrastenico, e scoprirete che in realtà sta già 2-0 – due gol in tre minuti, ma il televideo ha un leggero ritardo rispetto alla realtà – e il nevrastenico ha tirato indietro il petto e avanti la testa, e ormai più che scuoterla la fa ondeggiare come se nello studio televisivo si fosse alzato un vento non forte ma gelido. Respingendo la tentazione di scagliare il telecomando contro il televisore (sarebbe come staccare la spina dell’alimentazione artificiale: in ogni caso, non ne avete la forza), vi limiterete a usarlo per spegnere e ad alzarvi per dire a vostra moglie, con voce virilmente querula, che quella stramaledetta squadra sta perdendo in casa anche contro il Bologna, e che ormai è festa per tutti. Poi passerete i tre quarti d’ora seguenti pensando, a fasi alterne e più o meno equivalenti sul piano temporale, alla sorte schifosa che vi ha fatto scegliere proprio quella squadra, fra tutte quelle che c’erano (quanto sarebbe bello, tenere per il Pescara?), e alla possibilità che Pazzini abbia accorciato le distanze, Nagatomo abbia pareggiato con un colpo di testa in tuffo e Alvarez abbia segnato il gol della vittoria con un sinistro da fuori al quinto minuto di recupero. Ma poi vi verrà in mente che Alvarez in realtà è infortunato, e allora, in preda all’ansia, andrete ad accendere il televideo per vedere chi l’ha fatto, il gol della vittoria. E scoprirete che il Bologna ha segnato ancora. A cinque minuti dalla fine.
    Il tifoso della Juventus o del Milan, rispetto al tifoso dell’Inter, ha solo il vantaggio dell’illusione. Siccome è abituato così, pensa che le cose prima o poi si raddrizzeranno. E quindi è fortunato, che Dio lo stramaledica. Morirà col sorriso sulle labbra, credendosi immortale.
    Vi odierei tutti, se non sapessi che i vostri muscoli, le vostre ossa, i vostri organi interni sono nerazzurri quanto i miei.
    Il punto vero, tanto vale tirarlo fuori subito, è che ho quasi quarant’anni. Ne faccio quaranta a inizio novembre (chiedetevi perché ho pensieri di morte). Una volta ho detto a uno che, come me, fa canzoni , che per scrivere veramente bene bisogna tirare fuori il peggio di noi, le cose che ci fanno stare male e allo stesso tempo ci fanno vergognare. Le cose che ci ripiombano nei corpi dei bambini disperati e ridicoli che eravamo. Solo ora mi rendo conto che neanch’io l’ho mai fatto fino in fondo, e che per potermi mondare davvero e guardare le cose dall’alto come un’aquila (senza pensare alla Lazio e al 5 maggio 2002, naturalmente) devo tirare fuori i due mostri più schifosi e grotteschi che ho in corpo. La morte e l’Inter.
    Ma più l’Inter, se devo davvero essere onesto.
    Dimenticavo: non è che finisce così, come accendere e spegnere un televisore. C’è da soffrire, come direbbe Pizzul, e se sei dell’Inter ci sei abituato (un’altra fregatura: sai che bel vantaggio, esserci abituato). Spegni la televisione indignato, ti fai consolare da tua moglie (una volta avevi una donna che diceva cose come “in fondo è solo un gioco”, ma per fortuna l’hai lasciata), e insieme decidete di guardarvi una puntata di Friends al computer, perché in fondo è meglio distrarsi, no? Ma il computer, appena acceso, ti informa che deve caricare tredici aggiornamenti. Tredici. Ci mette un’eternità – durante la quale tua moglie legge, mentre tu fingi di farlo e fantastichi sui modi implausibili in cui si possono segnare quattro gol in cinque minuti. L’undicesimo, il dodicesimo e il tredicesimo aggiornamento sembrano particolarmente pesanti, come se il pc dovesse assorbire pagine e pagine di notizie sul calciomercato in entrata dell’Inter. Infine si spegne, senza aver caricato il sistema operativo. Ma non è ancora fatta: a premere un tasto si riaccende, come un malato ringalluzzito prima del tracollo, solo che prima di arrivare al sistema operativo sostiene di dover installare ventiseimila e rotti aggiornamenti (giuro, non sto inventando niente: tredici per due elevato alla prima per dieci elevato alla terza). Finalmente è tutto pronto. La puntata di Friends (prima serie) è quella sulla nonna di Ross e Monica che muore due volte (ma lo fa apposta, l’universo?). Inserisci il cavo delle cuffie, pronto a condividere gli auricolari con tua moglie come al solito (l’audio in uscita del pc è troppo basso), e quando parte la puntata scopri che il tuo auricolare produce solo un ronzio indistinto.
    Chiedi conferma a tua moglie. No, non è la puntata di Friends. È solo il tuo auricolare.
    Ti alzi smadonnando in cerca di un altro paio di auricolari. Ma prima ti cade l’occhio sul punto in cui il pc ti dice la data e l’ora, e ti rendi conto che è venerdì diciassette febbraio. Venerdì diciassette febbraio, maledizione. E tu non sei superstizioso, tranne che per tutto ciò che ha a che fare con l’Inter. E con la morte.Tredici aggiornamenti, tredici per due alla prima per dieci alla terza file installati, venerdì diciassette febbraio. Tre a zero per il Bologna, a meno che non ne abbiano fatto un altro. E a sabato diciotto manca ancora un’ora buona.
    Mentre cerchi invano gli auricolari, ti chiedi con una certa curiosità che funerale ti faranno. E già che ci sei, chi chiameranno come allenatore dell’Inter. Ma poi ti ricordi che non sei davvero morto. È solo che quando morirai sarà più o meno così, e sei sicuro, sicuro, sicuro che sarà un momento in cui l’Inter va di merda.
    Alla fine Friends riesci a vederlo, ed è una puntata così così.

4 commenti:

  1. primo!

    Friends come terapia è inutile. Qua ci voleva almeno Frasier.

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  2. no no no, lo psichiatra radiofonico fighetto.
    Molto divertente, e piuttosto inglese.


    http://en.wikipedia.org/wiki/Frasier

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    1. Guarderò Frasier al più presto. Grazie, il modello ovvio è Fever Pitch di Hornby, ma buttato più sul piano seminarrativo e tuttoautobiografico.

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